Sebbene ancora poco conosciuta, l'arte della scagliola, , ha avuto
nel corso di questi ultimi cinquanta anni un ritrovato impulso dovuto
soprattutto ad alcune, poche, botteghe artigiane che con notevole passione
e caparbietà hanno creduto in questo procedimento artigianale,
tanto da farlo tornare in auge dopo un periodo di oblio durato dalla
metà dell'ottocento ad oggi.
Con il termine di scagliola si fa riferimento sia alla particolare
tecnica di intarsio di colore che usa materiali "poveri"
come il gesso, pigmenti e colle naturali mescolati (da qui il nome
meschia) tra loro, sia ad una varietà della pietra da gesso
chiamata selenite, reperibile in natura sotto forma di lamelle
o scaglie.
Certe qualità fisiche di questa pietra, come la lucentezza,
la trasparenza ed il candore perlaceo hanno dato origine nel tempo
a definizioni correnti e curiose come: cristallo di gesso, specchio d'asino,
pietra speculare, vetro di olearia, pietra di luna.
L'uso di questo materiale, conosciuto fin dai tempi più antichi
(i Romani utilizzarono anche lastre di pietra speculare per le pareti
del Circo Massimo a Roma, per ottenere un piacevole candore) e usato come
materiale da costruzione, da decorazione, e in agraria divenne una
vera espressione artistica nel XVII secolo. Si iniziò ad impiegarlo
per imitare con notevole perfezione le venature marmoree e le tarsie.
Poi con la scoperta della duttilità della meschia divenne un mezzo
decorativo a sé stante che riuniva varie tecniche artistiche come
la pittura (con quadri e pannelli con vedute e paesaggi), l'incisione
(con le scagliole in bicromia sanguigna) ed il modellato (con la scagliola
plastica per i camini e paliotti in rilievo).
Le
prime notizie storiche sono concordi nel riscontrare una quasi certa contemporaneità
nell'uso degli impasti colorati di scagliola, sul finire del '500 ed i primi
del '600, sia in Germania che in Italia. Sicuramente si può affermare
che Carpi in Emilia, nel secolo XVII fu il maggiore centro di
diffusione di questa tecnica con la realizzazione di opere inizialmente
in bianco e nero e poi policrome, principalmente per committenti ecclesiastici.
Nel secolo XVIII Firenze
e la Toscana suggellarono il pieno riconoscimento della scagliola, principalmente
per merito di Enrico Hugford (1695-1771), monaco Vallombrosiano
che "dovecchè gli altri non seppero con essa (la scagliola)
imitare il colorito dei marmi o qualche scherzosa immagine, egli perfezionandola
nel pulimento, la ridusse ancora, quanto al disegno, a rappresentare tutto
ciò che la prospettiva ed il pennello può inventar di più
vago" da Novelle Letterarie (1771).
Lavori in scagliola sono rintracciabili a Firenze nella chiesa di San
Miniato al Monte e nell'Oratorio di San Tommaso d'Aquino, nei dintorni come
Settignano, nel Chianti, nel Valdarno, nella Valdisieve, senza dimenticare
l'Abbazia di Vallombrosa che conserva ancora molte opere di Hugford.
Nell'ottocento sempre a Firenze,
con l'istituzione della cattedra all'Accademia e poi a Livorno, con i fratelli
Della Valle, ci furono gli ultimi significativi esempi di questa lavorazione.
Fotografia Archivio Bianco Bianchi
Testo tratto dal documento "L'arte della scagliola" di Alessandro
Bianchi
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