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Visita il Mugello, culla dei Medici, a due passi da Firenze e le bellezze toscane
 

La cucina di Alessi

 

 
 

Pappardelle sulla pecora degli antichi pastori erranti negli smannori campigianì

  • A) La carne:
    1 kg di spalla di pecora già disossata, sgrassata e tagliata a tocchetti
    100 gr di carne magra di vitella, macinata
    100 gr di carne magra di maiale macinata
    2 salsicce di maiale
  • B) Un trito fine di:
    1 cipolla rossa grossa
    1 carota
    1 costola di sedano
    un porro medio
    un mazzetto di prezzemolo 3 spicchi di aglio

    la scorza (solo il giallo) di un limone
  • C) Un frullato di:
    un po' di basilico essiccato
    le foglioline di un mazzetto di pepolino (timo)
    2 rametti di rosmarino
    una grossa ciocca di salvia
    un mazzetto di maggiorana
    5-6 rametti di nepitella
    un po' di origano essiccato
    1/2 litro di brodo bollente fatto con un dado di carne e uno di fungo porcino
  • 400 gr di pappardelle
  • 1/2 kg di pomodori pelati
  • 1 cucchiaio di concentrato di pomodoro
  • 1 bicchiere di vino rosso
  • 10 cucchiai di olio di oliva
  • sale e pepe
In un tegame a fondo spesso, meglio se di terracotta, mettere l'olio e disporvi le salsicce dopo averle spellate. Mettere sul fuoco, medio, e far rinvenire, più che rosolare, per sciogliere il grasso delle salsicce ed insaporire l'olio, rigirando continuamente. Poi mettere il trito di verdure, alzare il fuoco, rigirare ed amalgamare bene con il condimento e a fuoco medio-alto cominciare la rosolatura. Che è importante avvenga mediante una progressione lenta e continua e non in modo violento. Quindi, primo stadio; appassitura delle verdure per fare emettere (tegame coperto) e successivamente evaporare (tegame scoperto) l'umore di vegetazione. Fuoco medio, rigirare in modo uniforme in larghe volute del braccio: non devono formarsi crosticine, l'odore, intenso, è di ortaggi e odori freschi; i colori ancora vari.
Secondo stadio; rosolamento estremo, al color nocciola scuro, fuoco alto, tegame scoperto, lavorazione di scrostatura del fondo continua per rimozione necessarie incrostazioni che man mano si formano e che non vanno lasciate bruciacchiare evitando, tramite il continuo rigirare, una troppo prolungata permanenza di una stessa parte a contatto fermo col fondo rovente del tegame.
L'odore, penetrante, netto, comincia a tendere verso l'amarognolo-muschiato, caramellato; il colore, uniforme, dal nocciola scuro deve arrivare al bruno-rosso, e senza che nulla sia minimamente bruciacchiato.
E' fondamentale nella fase iniziale della cottura del sugo ottenere una rosolatura dolce del trito di verdure, per non appiattire le loro diverse caratteristiche saporosità in un unico sentore di "caramellato" se molto cotto o di "sdolcinato" se poco rosolato. E' la perizia del cuoco in gioco in questa operazione, un vero e proprio esercizio di destrezza con il quale si dimostra la raggiunta maturità cucinaria che, secondo noi, fondamentalmente, consiste nel "dominio" del fuoco, al quale vanno contese le proprietà degli alimenti in cottura, che per il suo tramite devono forgiarsi, trasmutarsi sì, ma secondo le esigenze culinarie del cuoco e non le brame divoratrici del fuoco. Regolarsi quindi, alzando e abbassando il calore, rigirando più o meno alacremente e con movimenti più o meno veloci, con più vigore movimenti brevi, secchi, insistiti nello stesso punto, per scrostare il fondo, o più lievemente ed in ampie volute per accarezzare il composto in cottura, e non abbandonare mai il tegame a se stesso fino a che il tutto come descritto sopra non avrà assunto un bel colore bruno e non emanerà un fragrante profumo, composito, di "cotto" piuttosto penetrante. Tutto ciò ottenuto, aggiungere sbriciolandole le carni macinate prima, rigirandole sempre e amalgamando col trito, e i tocchetti di pecora poi, ben amalgamando anche questi con tutto il resto, badando di portare avanti la rosolatura del tutto, con le stesse precauzioni di cui sopra. Quando anche le carni avranno preso un certo color nocciola, irrorare il tutto di vino, far evaporare, sempre a fuoco vivo, tegame coperto, continuo rigirare. Quando dal tegame non emanerà più alcun odore vinoso, ma avrà preso campo il caratteristico afrore delle carni ovine, aggiungere il frullato di aromi, rigirare e amalgamare bene, riportare al bollore, aggiustare per una cottura lentissima, coprire, rigirare ogni tanto. Nonostante il coperchio, l'insieme tenderà ad asciugarsi via via; aspettare, intensificando il rigirare per evitare che nulla attacchi al fondo, che sia ben asciutto, quindi frullare il pomodoro, con il concentrato un pizzico di sale e pepe, e un romaiolo di acqua bollente e aggiungerlo alla pecora e al suo sugo nel tegame. Solito rigirare e amalgamare, aggiustare per una cottura lentissima, coperto, fino a che la carne non sarà tenerissima. Controllare che in superficie non si sia formato uno strato untuoso: se sì con un cucchiaio toglierlo pressoché tutto; poi controllare e aggiustare di sale e pepe, far cuocere ancora un pò , quindi spengere.
Bollire la pasta e, ben scolata, metterla in un vassoio, condirla con abbondante sugo di pecora e rigirare onde farla amalgamare perfettamente. Poi dopo averla un po' scavata in mezzo, leggermente "a fontana", mettervi sopra i pezzetti di carne stufati e ricoprire con altro sugo. Mandare in tavola, piatto unico, vivanda e contorno, primo piatto e secondo.
Frutto di nostalgiche reminiscenze di "pastori erranti" leopardiani sovrapposte a quelle di un'infanzia trascorsa nelle "prata" di S.Angelo a Lecore, a contatto con i pastori "campigiani", ultimi lontanissimi discendenti diretti degli Etruschi ("Non v'è altro popolo in Italia, oltre al pratese, che mangi pecora; ed è come dire che non v'è altro popolo in cui sia così vivo lo spirito degli antichi etruschi, gran mangiatori di pecorame" [Malaparte 1956] a cui la toscanità deve la gran parte dei suoi caratteri più veri e genuini, primo fra tutti il saper ancora restare stupiti di fronte a "il naturale fiorire della vita". (D.H.Lawrence 1985).
Da qui una cucina tutta fragranza di aromi naturali, queste pappardelle che sono un esempio di fedeltà alla tradizione, e al rapporto con la memoria storica. La legittimazione dei parametri gustativi? I sapori e gli aromi naturali, manipolati il meno possibile. "Tutto è incerto e manca di norma e di modello, dacché ci allontaniamo da quello, della natura, unica forma e ragione del modo di essere". (Giacomo Leopardi, "Zibaldone" p.ms. 1613).
Perciò come avrete notato in questa ricetta non sono indicati i tempi di cottura. Sarebbe stato un tradirne lo spirito, giacché abbandonarsi ai sensi è d'obbligo, quando di fronte alle cose ci si pone in senso "totalmente" ( e non solo "mentalmente") attivo e positivo, e ci si lascia andare al proprio "genio" naturale: "La ragione è nemica di ogni grandezza: la ragione è nemica della natura: la natura è grande, la ragione è piccola." (Giacomo Leopardi, "Zibaldone", p.ms.14).

Una ricetta di Giuseppe Alessi
Fotografia di Kee-Ho Casati

 
 
 
   
 
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