Era questo piatto non certo di origine popolare, per
via degli ingredienti ricchi e non alla portata del popolino. Di origine
rinascimentale, quando l'uso del cucinare la carne nel dolce e l'aceto
o agresto era molto diffusa, spesso per coprire odori e sapori della putrefazione.
Nell'800 divenne un piatto della borghesia e spesso lo si trovava sulle
mense dei possidenti e fattori.
Dopo averla ben frollata, la lepre la si spezza e la
si fa marinare per 24 ore nel vino bianco secco con un bicchiere di aceto
rosso e tutti gli odori, in una quantità da rimanere immersa nella
marinata. Preparato poi un battuto di cipolla, sedano, carota, coccole
di ginepro, un paio di foglie di alloro e pancetta tritata grossolanamente,
si fa rosolare il tutto con olio in un tegame insieme ai pezzi piuttosto
grossi della lepre, aggiungendovi sale, pepe ed un paio di chiodi di garofano.
Si porta a cottura con aggiunta del liquido della marinata o brodo e una
punta di conserva di pomodoro. Si aggiungono poi l'uva passa (mezzo etto),
i pinoli (mezzo etto) e un bicchiere di aceto dove si è fatto sciogliere
un cucchiaio di zucchero e mezzo etto di cioccolata fondente. Si mescola
il tutto, si fa concentrare ancora sul fuoco e la si serve ben calda.
Testo di Tebaldo Lorini
Fotografia di Kee-Ho Casati |