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Firenze

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Il territorio del comune di Firenze si estende per 102,41 kmq lungo il medio corso dell'Arno, per gran parte in una conca racchiusa dalle colline costituenti le estreme propaggini della catena subappenninica di monte Giovi e di monte Morello e dei rilievi collinari dei cosiddetti monti del Chianti. Già municipio romano, Firenze ha conosciuto la sua massima importanza nel basso Medioevo e nel primo Rinascimento.

Il suo sviluppo urbanistico nel passato è documentato dalla successione delle cinte murarie: rispetto alla città romana (il cui cardo maius corrispondeva al tracciato delle attuali via Roma e via Calimala e il decumanus maximus alle attuali via Strozzi e via del Corso), il perimetro delle mura arretrò notevolmente in epoca bizantina, ma ritornò alle vecchie dimensioni con il cosiddetto primo cerchio, edificato in epoca carolingia, mentre all'interno la città era suddivisa in quartieri, che prendevano il nome dalle sue porte principali: porta Duomo, porta San Pancrazio, porta Santa Maria e porta San Piero. Nel 1172 fu costruita la seconda cerchia, che per la prima volta si estendeva anche in Oltrarno e Firenze fu allora divisa in sestieri (San Pier Scheraggio, porta Duomo, Borgo, porta San Piero, San Pancrazio e Oltrarno).

Il continuo incremento della popolazione convinse nel 1284 i reggitori del comune a deliberare l'erezione della terza cerchia muraria, la cui costruzione terminò nel 1333; quest'ultima, corrispondente agli attuali viali di circonvallazione ed eseguita con provvida larghezza, si rivelò, per il ristagno demografico dei secoli seguenti, sufficiente a contenere l'espansione di Firenze fino all'Ottocento.
Nel 1343 intanto la città fu di nuovo divisa in quartieri (Santo Spirito, Santa Croce, San Giovanni, Santa Maria Novella) e tale divisione amministrativa si protendeva anche sul contado corrispondente. Firenze è stata capitale del regno d'Italia dal 1865 al 1870. Delle variazioni territoriali del comune accenniamo a quelle più recenti: nel 1865 furono aggregati a Firenze parte dei soppressi comuni di Legnaia e del Pellegrino e zone di territorio appartenenti ai comuni di Bagno a Ripoli, Galluzzo e Fiesole; nel 1910 le furono aggregate le frazioni di Settignano, Rovezzano, Pellegrino e parte di quelle di Coverciano e Mensola appartenenti al comune di Fiesole; nel 1928 si aggiunsero zone di territorio staccate dai comuni di Brozzi, Casellina e Torri, Galluzzo e Sesto Fiorentino; nel 1939 fu infine staccata una parte della frazione Ponte a Greve, assegnata al comune di Scandicci.

Le origini di Firenze dovrebbero risalire al X secolo a. C., quando una popolazione italica di civiltà villanoviana si stabili alla confluenza tra Mugnone e Arno. Ma le notizie antiche sono molto incerte e non è possibile determinare con una certa approssimazione neanche quando essa divenne municipium splendidissimum romano; certo è che Silla, per punirla della fedeltà dimostrata a Mario, la danneggiò gravemente ed è molto probabile che essa risorgesse verso il 50 a. C. per la legge agraria di Giulio Cesare. Sotto l'impero Firenze si accrebbe e acquistò importanza: con Marco Aurelio, o forse con Diocleziano, divenne sede del corrector Italiae, una sorta di governatore la cui giurisdizione si estendeva sulla Tuscia e sull'Umbria. Mentre la città andava cristianizzandosi (la nuova religione essendo stata introdotta da San Miniato, che vi subì il martirio nel 250) avevano inizio i secoli grami della crisi dell'impero e delle invasioni barbariche: assediata dagli ostrogoti di Radagaiso (405) e liberata dalle truppe di Stilicone nella ricorrenza del martirio di Santa Reparata, che fu assunta allora a patrona della città, fu occupata dai bizantini nel 541 e poi saccheggiata e semidistrutta da Totila nel 552.
Nel 570 Firenze, con la Toscana, divenne dominio longobardo: la decadenza non e in questi secoli così grave come si è creduto; aumenta l'importanza del vescovado fiorentino, si erigono vari edifici di culto (tra i quali il Battistero) e la città è probabilmente sede di un duca. Per tre volte Carlo Magno vi fa tappa, e a lui la leggenda attribuisce il ruolo di rifondatore della città; nell'854 Lotario I unisce i comitati fiesolano e fiorentino e decreta che il conte abbia la sua sede a Firenze.

L'ultima invasione, quella ungara, devasta di nuovo le sue campagne; ma con gli Ottoni la città può rifiorire e il marchese Ugo di Toscana abbandona la sede di Lucca verso la fine del X secolo per porre la residenza definitiva a Firenze. Ingranditasi e abbellitasi con monumenti dei quali in qualche caso può ancor oggi menare vanto, Firenze conosce grosse lacerazioni di carattere politico-religioso verso la metà dell'XI secolo, quando un monaco di nobile origine, Giovanni Gualberto, ha il coraggio di accusare il potere vescovile di corruzione e di avidità: costretto a rifugiarsi sul monte di Vallombrosa riesce alla fine a trionfare, obbligando il vescovo Mezzabarba a lasciare la città. Di tale vittoriosa rivolta è protagonista, con Giovanni Gualberto, anche il popolo fiorentino che tende a mostrare crescente volontà d'indipendenza e passione politica; nel 1115 alla morte della contessa Matilde (della quale a suo modo era stato suddito critico ma leale) il comune è già virtualmente costituito. Col passare degli anni alle lotte, quasi sempre vittoriose, contro i feudatari del contado unisce il consolidarsi e lo svilupparsi delle proprie istituzioni repubblicane: il governo è affidato a dodici consoli, mentre un consiglio di Cento Buonomini e un più vasto Parlamento sono le assemblee che hanno funzioni consultive e deliberanti. Se di fatto già da tempo Firenze era riuscita ad assoggettare il contado circostante (l'antica Fiesole è debellata dall'esercito fiorentino nel 1125, Figline nel 1162), il primo riconoscimento ufficiale arriva nel 1197 quando l'imperatore Enrico IV riconosce una sorta di giurisdizione dei consoli fiorentini anche fuori delle mura cittadine. Nel 1193 compare per la prima volta la carica di Podestà (che fu un cittadino, ma poi dal 1207 un forestiero), un ufficiale che durante il suo incarico dalla durata annuale detiene il potere esecutivo. Le lacerazioni nell'oligarchia dirigente si acuiscono con il crescere dell'importanza della città e degli interessi privati: secondo la leggenda, nel 1215, i grandi cittadini si dividono nelle due contrapposte fazioni dei guelfi e dei ghibellini, prendendo a pretesto un fatto di sangue conseguente alla rottura di una promessa di matrimonio. Ciò non rallenta lo sviluppo della città, ma crea frequenti scontri e una interminabile faida che coinvolge tutte le famiglie tradizionalmente potenti, le cui fortune private finiscono con l'essere strettamente connesse alle alterne vicende della lotta politica. Ne approfittano i ceti mercantili emergenti, che già dal 1250 al 1260 conquistano il potere cittadino con il governo detto del «Primo Popolo».

Nel 1260 Firenze subisce la grave disfatta di Montaperti, ad opera di Siena e dei fautori filo-svevi toscani, tra i quali si annoverano anche numerosi fuorusciti, capitanati da Farinata degli Uberti. Quest'ultimo particolare permette alla città di non soffrire rappresaglie troppo gravi oltre a un esodo massiccio dell'élite guelfa. Con la tragica fine della dinastia sveva, Firenze ritorna guelfa e filo-pontificia nel 1267 e mentre da un lato acquista grande influenza nella città l'organismo della Parte Guelfa, raggruppante sia l'antica élite aristocratica guelfa che alcune ricche famiglie di più recente origine ad essa assimilatesi, dall'altro la classe dirigente cittadina si avvia a compiere un profondo mutamento socio-politico. La progressiva affermazione delle corporazioni artigiane quali organi istituzionali e l'acquisizione di ingenti patrimoni da parte di alcune famiglie del ceto mercantile portano nel 1282 (dopo l'intervento pacificatore delle antiche fazioni fatto due anni prima dal cardinale Latino) all'istituzione del priorato delle Arti, una forma di governo che durerà per secoli e che riconosce il diritto al governo della città ai soli iscritti alle corporazioni. Mentre continua con successo il disegno di egemonia sulle città circostanti (Pisa è sbaragliata dagli alleati genovesi alla Meloria nel 1284, Arezzoè sconfitta a Campaldino nel 1289) vengono promulgate dai governanti provenienti dal mondo artigiano leggi sempre più favorevoli al popolo: nel 1289 è abolita la servitù della gleba nel contado, nel 1293, auspice Giano della Bella, si mobilita al fianco dei ceti medi il popolo minuto contro la persistente tracotanza dei Grandi e vengono promulgati gli Ordinamenti di Giustizia, una legislazione di carattere fieramente antimagnatizio, per la cui inflessibile applicazione è istituita la carica del Gonfaloniere di Giustizia. Il tono democratico di tali leggi provoca la reazione sia degli aristocratici che dei ricchi mercanti; questi nel 1295 riescono a far allontanare Giano della Bella dalla città e a smorzare alcune delle disposizioni a loro avverse.

Segue una fase di riflusso e, fomentate da Bonifacio vili, le fazioni dei Bianchi e dei Neri dominano la scena politica. La nuova divisione è causata più che da motivi di carattere sociale, comunque coinvolgenti solo gli strati superiori della popolazione, da ragioni di carattere economico. Nel 1301 con l'aperto appoggio di Carlo di Valois inviato da Bonifacio VIII, i Neri hanno il sopravvento e si compie ancora il consueto rito cittadino delle proscrizioni e degli esili, a danno dei maggiorenti bianchi (1302). Dal 1312 al 1328 la guelfa Firenze rischia di essere assoggettata dai ghibellini esterni: prima per la discesa dell'imperatore Arrigo VII (ma riesce a resistere con successo, malgrado le speranze di Dante, acquistando grazie a ciò ulteriore autorevolezza nel contesto politico italiano), poi forse con maggiore pericolosità per le guerre di Uguccione della Faggiola e di Castruccio Castracani, che riescono a infliggere a Firenze brucianti sconfitte. Si ritiene allora necessario invocare la protezione angioina, offrendo la signoria della città a Carlo duca di Calabria (1325), ma l'avidità di costui e del suo seguito (quasi un milione di fiorini estorti in diciassette mesi) e gli scarsi vantaggi militari che ne derivano fanno sì che Firenze tema davvero per il suo futuro: per buona sorte invece muoiono il temibile Castruccio (1328) e poco dopo il rapace Carlo; la città si ritrova libera e può riprendere la propria politica egemonica nella Toscana centrale, ponendo sotto la propria sovranità pro tempore, tra il 1331 e il 1338, Pistoia, Cortona, Arezzo e Colle Val d'Elsa. Il suo governo, schietta espressione del «popolo grasso» che si articola soprattutto sull'alternanza nei ruoli di potere di una quarantina di casati eminenti, soffoca con relativa facilità alcuni tentativi insurrezionali provocati da famiglie magnatizie.

Il fortunato periodo si interrompe per la mancata conquista di Lucca, strappata a Firenze dai pisani con un gesto di forza. Immemori di un passato abbastanza prossimo, i fiorentini offrono a un avventuriero vassallo del re di Napoli, Gualtieri di Brienne duca d'Atene, ingaggiato come comandante delle truppe fiorentine, la signoria a vita della città nel settembre del 1342. Chi aveva sperato in lui è presto deluso: il conflitto con Pisa termina con una pace compromissoria, ma Lucca resta in mano agli avversari; le sue iniziative di politica interna, demagogiche e sopraffattori e, divengono ben presto insopportabili, e a furor di popolo nel luglio del 1343 è cacciato. La vicenda ha strascichi notevoli nella lotta per il potere cittadino, e il popolo delle arti, impugnate le armi, riesce alla fine a salvaguardare la costituzione contro gli attacchi delle grandi famiglie popolane e dei magnati. Quasi contemporaneamente (e senza dubbio anche conseguentemente) Firenze, che poteva a buon diritto essere considerata la più ricca città d'Europa, è travolta dalla crisi economica: i grandi clienti europei delle sue banche, insolventi, determínano il fallimento degli Acciaioli, dei Bardi, dei Peruzzi e di numerose altre compagnie (1342-46); a ciò si aggiunge poco dopo la catastrofe demografica della peste (1348), che secondo le fonti riduce di due terzi la popolazione. La città esce da questi drammatici avvenimenti ridimensionata ma ancora, potente, pur se cambiano i nomi delle famiglie cittadine protagoniste e si affermano nell'élite gli Alberti, i Ricci, gli Albizi, gli Strozzi e i Medici. Difesasi validamente contro un tentativo di invasione da parte di Giovanni Visconti, nella seconda metà del XIV secolo Firenze lotta nella guerra detta degli «Otto Santi» contro le mire di supremazia pontificia nell'Italia centrale. Il conflitto provoca alla lunga notevoli tensioni sociali interne. Sotto la guida di un cardatore, Michele di Lando, il proletariato cittadino si solleva e occupa i centri di potere: è il cosiddetto «tumulto dei Ciompi» (1378). La rivolta ha dapprima successo; Michele è proclamato gonfaloniere, si creano tre nuove arti (dei Tintori, dei Farsettai, dei Ciompi: minutissimi artigiani e operai salariati), si ottiene che in tutti gli uffici, a cominciare dal priorato, alle tre nuove arti spetti un terzo dei posti, si eleggono addirittura dei «cavalieri del popolo».

La vecchia classe dirigente, dapprima sbigottita, risponde poi ritirandosi in campagna e paralizzando con una sorta di serrata botteghe e opifici: le è facile, dopo meno di due mesi, sbaragliare i Ciompi, riconquistare la città e, nel febbraio del 1382, eliminare ogni norma stabilita in seguito alla rivolta e riaffermare l'antica costituzione, anzi forgiarla sempre più verso forme di ristretta oligarchia. L'antico comune volge ormai alla fine del suo ciclo storico. Nel 1393, dopo una lotta durissima tra gli Alberti e gli Albizi, questi ultimi hanno il sopravvento politico e, con un ristretto numero di altri eminenti cittadini a loro alleati, detengono saldamente per qualche decennio le redini del governo.

Nel 1427 viene istituito il catasto, cioè l'accertamento fiscale sulla base delle denunzie individuali dei beni; le centinaia di filze che ancora oggi si conservano sono una delle maggiori testimonianze del grado di civiltà raggiunto da Firenze e dalla popolazione fiorentina. Nel 1433 per l'oligarca Rinaldo degli Albizzi arriva lo scontro decisivo con Cosimo dei Medici, ricchissimo mercante e sagace capo dell'opposizione; Rinaldo riesce in un primo tempo a farlo esiliare, ma l'anno seguente è costretto ad abbandonare la città, mentre Cosimo vi fa ritorno ed è accolto trionfalmente dal popolo. Facile è allora per il Medici stabilire una signoria di fatto, pur lasciando formalmente intatte le antiche istituzioni della repubblica. Sotto l'egida di Cosimo Firenze perde la propria libertà, ma apparentemente ne è compensata con il grande prestigio politico che acquista nello scacchiere italiano (decisivo è l'appoggio dato da Firenze allo Sforza per impadronirsi del ducato di Milano) e con lo straordinario rigoglio culturale che l'astuto mecenatismo mediceo incoraggia a piene mani. Morto Cosimo nel 1464, la successione è raccolta per cinque anni dal figlio Piero il Gottoso e poi dal figlio di questi Lorenzo il Magnifico che, sfuggito nel 1478 al feroce attentato tramato da papa Sisto IV, da Francesco Salviati e dai Pazzi, rinnova i fasti culturali dell'avo (di cui non possiede comunque il genio mercantile) e ne continua l'accorta politica di moderatore nella vita politica italiana. Dopo la morte di Lorenzo (1492) il contegno remissivo del successore Piero di fronte a Carlo VIII, re di Francia, calato in Italia per occupare il regno di Napoli, e l'ormai evidente bancarotta delle loro imprese commerciali determinano la cacciata dei Medici da Firenze (9 novembre 1494). Il frate domenicano Girolamo Savonarola diviene allora l'ispiratore della politica fiorentina.

Ristabilito di fatto il governo repubblicano, riformato attraverso due consigli, quello Generale e quello degli Ottanta, la città vive per anni in un clima artificioso d'ascesi imposto a tutti i cittadini dalla predicazione apocalittica del frate. Ben presto la rivalità che oppone i fautori del Savonarola (i cosiddetti Piagnoni) agli Arrabbiati, partigiani del governo oligarchico, la scomunica di Alessandro VI contro il frate, gli intrighi medicei e il venir meno del favore popolare segnano la caduta del Savonarola, che finisce i suoi giorni, il 23 maggio 1498, sul rogo. Il regime repubblicano sopravvive quattordici anni al Savonarola, proseguendone l'ordinamento costituzionale attraverso l'istituzione del gonfalonierato a vita con Pier Soderini (1502). Morto Piero dei Medici nel 1503, la famiglia, esule dalla città, non resta inattiva: il cardinale Giovanni, fratello di Piero, riesce infatti a coinvolgere papa Giulio II in una politica favorevole al ritorno della casata al governo di Firenze e nel 1512 un esercito ispano-pontificio, dopo il sacco di Prato, costringe Firenze alla resa. Poco dopo il cardinale Giovanni ascende al pontificato col nome di Leone X e fino al 1527 Firenze viene praticamente governata dalla corte pontificia, rappresentata dal 1518 dall'arcivescovo Giulio, figlio illegittimo di Giuliano dei Medici, divenuto papa nel 1523 con il titolo di Clemente VII. Nel maggio 1527 il sacco di Roma da parte delle truppe imperiali offre l'occasione alle fazioni antimedicee per cacciare i due giovinetti, Ippolito e Alessandro dei Medici, rappresentanti in città di Clemente VII. L'insurrezione dà vita all'ultima effimera repubblica fiorentina, ma, nel 1529, la riconciliazione tra Clemente VII e l'imperatore Carlo V apre la strada al ritorno della dinastia. Il 12 agosto 1530, dopo un'eroica resistenza di undici mesi, la repubblica fiorentina deve arrendersi alle truppe imperiali. L'anno seguente Alessandro dei Medici, su designazione di Carlo V, prende possesso della città, sulla quale avrebbe governato con il nuovo titolo di duca. La riforma costituzionale che ne seguì segnò la fine degli antichi ordinamenti comunali e repubblicani e l'inizio di un regime a carattere monarchico.

Ucciso Alessandro da un parente, Lorenzino dei Medici (1537), su consiglio di Francesco Guicciardini salì al potere Cosimo, figlio di Giovanni dalle Bande Nere. Con il governo di Cosimo I la storia della città-stato di Firenze si confonde con quella della Toscana, alla quale Cosimo riusci a dare unità politica e amministrativa (con la guerra di Siena, dal 1553 al 1559, i Medici acquisirono anche i territori senesi e grossetani). Non riuscì invece a restituire a Firenze il ruolo di importantissimo centro culturale e commerciale ricoperto in passato dalla città, che decade progressivamente fino al Settecento. Spentasi con Giangastone la dinastia medicea (1737), la successione fu raccolta dalla casa Asburgo-Lorena e, dopo quasi trent'anni di reggenza (preferendo Francesco Stefano, legittimo sovrano, risiedere a Vienna), Firenze tornò ad accogliere nel 1765 una corte regnante con Pietro Leopoldo; costui, con la sua politica di riforme e con l'attuazione di un piano di bonifiche di vaste zone del granducato, fece risorgere Firenze e l'intero stato dal lungo periodo di decadenza. A Pietro Leopoldo, divenuto imperatore nel 1790, successe Ferdinando In il quale non poté impedire l'occupazione francese del granducato nel 1799. Questa occupazione durò, con molti mutamenti istituzionali, fino al 1814: dal 1801 al 1807 Firenze fu capitale del regno d'Etruria sotto i Borboni di Parma, poi capoluogo del dipartimento dell'Arno annesso all'impero francese e dal 1809 al 1814 capitale del granducato di Toscana sotto Elisa Baciocchi, sorella di Napoleone. Nel 1814 rientrò a Firenze Ferdinando III di Lorena, al quale successe nel 1824 il figlio Leopoldo II.

In questo periodo la città visse una vita tranquilla, solo per breve tempo turbata dagli ardori rivoluzionari del '48 in Toscana, capeggiato dal Guerrazzi con un seguito qualificato ma esiguo di intellettuali, finché nel 1859, senza sommosse, Leopoldo II abbandonò Firenze e la Toscana. Annessa al regno d'Italia Firenze ne divenne capitale dal 1865 al 1870. L'insediamento della corte di Vittorio Emanuele II e dei ministeri diede nuovo impulso alle attività cittadine: per opera dell'architetto Giuseppe Poggi si compì una grandiosa sistemazione urbanistica con l'abbattimento delle mura medioevali e la loro sostituzione con larghi viali alberati, tagliati da piazze simmetriche sulle aree delle antiche porte. Ma la partenza della corte e del governo per Roma lasciò Firenze alle prese con onerosi debiti e difficoltà di bilancio nel portare a compimento i progetti urbanistici già intrapresi. Nel 1887 un ultimo drastico intervento distrusse, con la demolizione dell'antico centro della città, le preziose memorie dell'ambiente medievale. Una stagione ricca di fermenti intellettuali visse di nuovo la città tra la fine dell'Ottocento e gli anni trenta del Novecento, con illustri docenti universitari, caffè letterari e riviste, e interventi urbanistici innovativi (la stazione, lo stadio) o comunque dignitosi (i nuovi quartieri edificati immediatamente al di là dei viali). Nel corso della seconda guerra mondiale dovette soffrire ingenti danni, prima per i bombardamenti aerei anglo-americani, poi perché i tedeschi in ritirata distrussero, tra il 3 e il 4 agosto 1944, tutti i ponti sull'Arno ad eccezione del Ponte Vecchio, il cui accesso fu però sbarrato con la demolizione degli edifici medievali circostanti; Firenze fu la prima grande città italiana che si liberò da sé, l' 11 agosto 1944, e da sé assunse, per tramite del Comitato toscano di Liberazione nazionale, l'amministrazione della vita cittadina, offrendo un esempio per la liberazione dei grandi centri dell'Italia settentrionale. I primi anni del dopoguerra furono caratterizzati dall'opera di ricostruzione, che, compiuta in circa un decennio, fu poi seguita da una nuova alacre attività edilizia, giustificata dal forte crescere della popolazione urbana, ma difficilmente giustificabile in vari casi quanto a qualità e vivibilità dei nuovi quartieri. L'amministrazione comunale nell'ultimo cinquantennio è stata caratterizzata dall'alternarsi di giunte di sinistra e giunte centriste, nei primi due decenni talvolta assumendo rilievo nazionale e internazionale per il loro profilo di laboratorio politico (in particolare con i sindaci Fabiani e La Pira). Il 4 novembre 1966 una disastrosa inondazione dell'Arno colpì la città, provocando danni assai gravi alle persone, alle attività economiche e ai beni culturali. Nel 1970 con la costituzione della Regione Toscana Firenze ne è divenuta il naturale capoluogo e sede dei suoi principali uffici amministrativi. Da allora la vocazione della città è parsa attestarsi essenzialmente su un ruolo turistico-commerciale che, se ha garantito vari benesseri privati, ha finito col ridimensionarne in parte il mito di città-simbolo, mentre molti dei problemi connessi con la vivibilità in una moderna metropoli rimangono irrisolti.

Soprattutto in epoca medievale e fino a tutto il Cinquecento, Firenze ha dato i natali a un grandissimo numero di personalità. Per quanto riguarda i cronisti, gli storici, gli economisti e i letterati ricordiamo tra gli altri: Brunetto Latini (1220-1295); Dino Compagni (1225-1324); Guido Cavalcanti (1225-1300); Dante Alighieri (1265-1321); Giovanni Villani (1280-1348); Luigi Pulci (1432-1484); Niccolò Machiavelli (1469-1527) e Francesco Guicciardini (1483-1540); lo storico ed economista Bernardo Davanzati Bostichi (1529-1606); il letterato Giovan Battista Zannoni (1774-1832); lo storico e pedagogista Gino Capponi (1792-1876); gli scrittori dell'Ottocento Pietro Thouar (1809-1861), Carlo Lorenzini alias Collodi (1826-1890) e Augusto Novelli (1867-1927); Giovanni Papini (1881-1956); Emilio Cecchi (1884-1966); Aldo Palazzeschi (1885-1977) e Vasco Pratolini (1913-1991) lo storico e uomo politico Giovanni Spadolini (1925-1994). Nelle arti plastiche e figurative e nell'architettura: Maso di Banco (prima metà XIV sec.); Filippo Brunelleschi (1377-1446); Lorenzo Ghiberti (1378-1455); Donatello (Donato di Betto dei Bardi, 1386-1466); Luca (1400-1482), Andrea (1435-1525) e Giovanni Della Robbia (1496-1529); Filippo Lippi (1406-1469); Benozzo Gozzoli (1420-1497); Sandro Botticelli (1444-1510); Benvenuto Cellini (15001571); Bernardo Buontalenti (1536-1608); Telemaco Signorini (1835-1901); Ottone Rosai (1895-1957). Fra i musicisti Ottavio Rinuccini (1564-1621); Giovan Battista Lulli (1632-1687); Luigi Cherubini (1760-1842). Numerosi gli scienziati, gli inventori e gli esploratori: Amerigo Vespucci (1454-1512); il botanico Pier Antonio Micheli (1679-1737); l'agronomo Cosimo Ridolfi (1794-1895); Antonio Meucci (1808-1889), che rivendicò l'invenzione del telefono.

Parte storica riprodotta su autorizzazione della Regione Toscana - Dipartimento della Presidenza E Affari Legislativi e Giuridici

 
 
 
   
 
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