Il secondo personaggio che incontriamo nella rubrica delle interviste
impossibili è Niccolò Machiavelli.
Fiorentino, nato nel 1469 e
morto nel 1527, è uno dei pensatori politici europei più importanti
di questo periodo.
Uomo di Stato, servì la Repubblica
fiorentina con diversi incarichi di tipo politico diplomatico, dimostrando sin
da subito una grossa capacità di analizzare e interpretare i fatti
politici.
La vulgata popolare vuole il nome di Machiavelli cinto da un'aura
di cinismo e immoralità, al limite del diabolico.
Ma fu favvero
così?
Eccoci faccia a faccia con il perfido Machiavelli. Con quale titolo
la devo chiamare?
Direi Eccellenza, quello più adatto ha chi ha passato la vita a trattar
di politica, istituzioni e de le altre umane cose.
Mi scuso per la mia lingua antica, ma proprio non riesco a
parlar con la vostra favella moderna, italiana eppure così amica de
li termini britannici.
Sua Eccellenza iniziò la carriera politico
diplomatica nel 1498, dopo la fine del Savonarola. Che ricordo ha di
lui?
Fu un uomo giammai capace di prendere atto de la
realtà.
Prendere atto?
Esattamente, in politica lo
maggiore sbaglio che possa cogliere l'uomo, o Principe che sia, è quello
di non prendere atto della realtà, di non capire come stiano
effettivamente le cose e le leggi che le governano. Di quale sia la
realtà effettuale.
Come ebbi la ventura di scrivere nel Principe: “colui che lascia
quello che si fa per quello che si dovrebbe fare impara piuttosto la
ruina che la preservazione sua”.
Cosa non aveva
capito Savonarola?
Lo povero Girolamo non capì che era divenuto
una minaccia per tutti, umili e potenti, ricchi e miseri, e così tutti
aveano piacere di elminarlo, a cominciare da lo Pontefice Alessandro
VI.
Savonarola conobbe la corda e lo rogo appena lo Papa minacciò
l'Interdetto pe' la città di Firenze.
I fiorentini temettero
questo?
Si ma non perché devoti al Papa. L'Interdetto avrebbe
lasciato li debitori di fuori più liberi di non prestare onore a li
sui debiti verso i mercanti e' prestatori di moneta fiorentini.
Firenze avrebbe
accettato una così grave minaccia a li suoi sostentamenti?
Come
era la Firenze del tempo?
Ricca, vivace, e orgogliosa come la donna che,
pur battendola et urtandola, non si vuole sottomettere. Ma pure piena
di perigli.
Pericolosa?
Si, perché le minacce furono
tante. Congiure, tradimenti, invasioni: basti la memoria dell'invasione francese
nell'anno 1494, e così non ci voleva molto ad esser considerato un
congiurato, un pericolo pe' l'indipendenza de la città e adunque esser
trattato degno de la peggior morte.
Veniamo alla
questione che forse più interessa i nostri lettori.
Sua
Eccellenza è consiederato un pensatore politico freddo e cinico, tanto
che l'aggettivo machiavellico è divenuto sinonimo di
diabolico.
Assai sovente li lettori de' li miei scritti, talvolta menti
semplici e poco avvezze a lo difficile esercizio de l'analisi politica,
non hanno ben compreso lo mio pensiero.
Io non potrei esser considerato immorale
giacché mai le predicai contro, piuttosto tenni lonano da me ogni
tentazione di veder la politica secondo le regole della morale, che sono senza
dubbio belle e ammirevoli, ma che poco si riscontrano ne la
realtà.
Adunque il mio monito a li Principi fu: considerate che la
politica ha le sue leggi e se vorrete vincer su' vostri nemici dovrete
conoscer siffatte regole e adeguravisi.
Semmai io potrei esser considerato amorale,
giammai immorale.
Per lei il Principe è colui che è in
grado di fondare e difendere con la forza e l'autorità lo Stato.
Ammetterà che è un'idea un po' forte e forse poco
democratica.
Io ebbi a dire che lo Principe è colui che fonda lo
Stato e lo difende con l'uso sapiente de la forza, ma ebbi anche a dire che
questo stato di cose deve esser transitorio e progredire verso il minor uso de
la forza, acciocché li sudditi non nutrano desideri di vendetta
contro lo Principe troppo duro.
Sono le stesse cose che scrisse quel filosofo
dell'Alemagna chiamato Immanuel Kant, passato sul vostro mondo tre
secoli dopo di me. Anch'egli ammirò lo Re di Prussia Federico
II, cui non fecero certo difetto forza e autorità.
Dai suoi tempi il mondo è molto cambiato. Lei come lo vede?
Pria che risponda vorrei
ricordare che li grandi cambiamenti e le rivoluzioni furon quasi
sempre minori di quel che pareano all'inizio.
Basti pensare la Rivoluzione Francese che
iniziò contro un re e finì con l'alleluja a un imperatore. Certo
che quel picolo corso ben conosceva l'arte della politica.
Avete mai pensato
che la parola rivoluzione può esser considerata ne li due modi
opposti?
La rivoluzione è lo cambiamento radicale, ma anche la
mancanza di cambiamento. La Terra, come ben studiarono li geni di Copernico
e Galileo, compie un moto di rivoluzione, gira su se stessa per tornar daccapo
senza nulla mutar.
Ai capi di governo e di Stato che oggi decidono le
sorti del mondo cosa direbbe?
Non dimenticate mai la legge de le volpi e
de' leoni.
Di che si tratta?
È una metafora che poi un
altro intelletto italico, Vilfredo Pareto, mi fece l'onore di riprendere.
Le
volpi son li politici che lo potere non l'hanno e usano l'astuzia,
l'inganno e tutti l'altri artifizi per conquistarlo, ma una volta
ottenuto diventano
leoni,
inclini a usare la forza, lo potere più che l'ingegno.
A' leoni dico:
attenti perché le volpi sono pronte a prendere lo vostro posto, e a chi
si fida de le volpi dico: attenti perché diventeranno leoni anche
loro.
Come se la passa lassu?
Ho provato a diventar consigliere
de lo Principe così come feci per tutta la mia vita terrena, ma anche
qui hanno molti pregiudizi verso di me.